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  • Immagine del redattoreSimone Franceschini

La Natura della Cedevolezza

Giunti a questo punto è d'obbligo essere assolutamente chiari sull'intenzione di questi articoli. Essi non vogliono essere di natura filosofica né tanto meno intellettuale, lo scopo non sarà quello di muovere una critica o esporre un punto di vista personale sulle arti marziali. Questo, invero, è quanto di più lontano possa esistere rispetto alla natura di questi scritti.

 

L'obiettivo che qui ci poniamo è la presentazione di una didattica marziale fondata su contenuti spirituali, avente come obiettivo l'elevazione interiore del praticante attraverso l'arte del combattimento.

 

Questo non deve destare alcuno stupore perché, come abbiamo potuto vedere (rimando all'articolo 1 "Arti Marziali: fondamenti e nuove necessità" https://www.simonefranceschini.com/post/new-vision-of-martial-arts), questa dovrebbe essere la prerogativa di un'arte marziale, la sua ragione d'essere.

 

Vogliamo quindi mettere in luce una via per reintegrare ciò che è andato perso nel tempo, adeguandolo però alle necessità moderne e, a tale scopo, sarà imprescindibile parlare di efficacia.

 

Ogni avanzamento interiore deve potersi manifestare con chiarezza nel combattimento. In caso contrario, se ciò non dovesse avvenire, l'intera didattica è da considerarsi inutile: su questo bisogna essere precisi più che su ogni altro aspetto.

 

Se gli esercizi interiori proposti da un arte marziale non si riflettono nel combattimento allora tale arte marziale non adempie alla sua funzione, si potrà certo proseguire il proprio studio interiore ma sarà da escludere a tale scopo lo strumento marziale.

 

Chiariamo dunque che ogni arte marziale priva di lavoro interiore specifico è da considerarsi in verità un'attività ludico-sportiva, così come ogni arte marziale che preveda una maggiore attenzione alla conoscenza interiore piuttosto che al reale combattimento è da considerarsi un'attivita artistico-coreografica.

 

L'arte marziale per essere tale deve prevedere un perfetto equilibrio di questi due aspetti. Deve permettere al praticante di vedere chiaramente i suoi progressi interiori così come, chiaramente, riesce a farlo con quelli esteriori.

 

Tornando al nostro obiettivo è necessario prima di tutto gettare le basi conoscitive del metodo. Esse serviranno ad indirizzare correttamente tutta la pratica che, come avremo modo di vedere, non si discosterà da ciò che siamo abituati a fare quando ci alleniamo, ma si concentrerà piuttosto a direzionare diversamente i pensieri e le emozioni che comunemente proviamo durante la lotta. 

 

Ogni azione che non muova dalla conoscenza è da considerarsi, prima o dopo, foriera di problemi e per questo motivo siamo ora costretti a ricapitolare brevemente prima di procedere oltre. Dopo aver individuato nell'evoluzione interiore il fondamento primo delle arti marziali, abbiamo potuto constatare che tale evoluzione è da ricercare, o meglio, si manifesti concretamente nella bellezza, nella capacità del combattente di superare con il massimo della grazia ostacoli soverchianti. 

 

Nella lotta, l'estetica non può prescindere da quello che abbiamo individuato come perno di congiunzione fondamentale, ovvero la cedevolezza.


 Ora bisogna però porsi la domanda: qual è la natura della cedevolezza, che cos'è?



In questo terzo articolo di chiusura sull'introduzione al metodo, prenderemo in esame questo quesito fondamentale.


La cedevolezza è essenzialmente una qualità animica.

 

Essa è la manifestazione fisica di un'elevazione dell'anima. In sostanza è la capacità interiore di accogliere gli stati emotivi senza esserne travolti, è la forza manifesta della calma interiore.

 

La calma interiore che, se conquistata, scopre nell'accoglienza l'essenza dell'azione, superando in definitiva la necessità dello scontro per la supremazia.

 

Vediamo quindi come sia assolutamente impossibile raffinare il proprio stile di lotta se non si opera interiormente. Questo è il vero muro invalicabile per la maggioranza dei praticanti, la motivazione nascosta alla base della lentezza nell'apprendimento.

 

Ciò appare chiaramente in persone che non hanno cominciato a lottare in giovane età, che, se vogliamo essere precisi, si sono avvicinati all'arte del combattimento con una coscienza già pienamente strutturata. Il lato positivo pero è che a differenza di chi, cominciando da bambino, non ha contezza del lavoro interiore svolto perché affrontato inconsciamente e modellato dall'ambiente in cui è cresciuto, al contrario chi ha cominciato in età matura può fare tesoro e ampliare ad altri contesti quello che ha conquistato, perché conquistato con forze coscienti.

 

Questo fa della lotta, se approcciata nei modi che qui stiamo cercando di mostrare, una pratica adatta a tutte le fasi della vita.

 

Torniamo ora sulla causa della cedevolezza, che noi abbiamo individuato essere di natura invisibile, ovvero come calma interiore dell'anima, e cerchiamo di entrare più nel dettaglio. Esistono, se così possiamo dire, diversi livelli di perfezionamento animico: il primo e più basico da sviluppare è la capacita di riconoscere e controllare i propri moti emotivi generati dallo scontro nel combattimento. Questa capacita dovrà essere estesa e coltivata a fondo per rendere in grado la propria anima di accogliere i moti dell'altro e, conseguentemente, le sue azioni. Questa meta è di fondamentale importanza perché permette, con la dovuta pratica, di vedere indirettamente le emozioni altrui e poter dunque preparare una strategia di combattimento ben più vasta ed efficace perché mossa dalla conoscenza delle intenzioni dell'avversario piuttosto che dalle sue azioni.

 

Quello che nasce come controllo di sé matura e diviene conoscenza dell'altro.

 

Tale approccio è da ritenersi adeguato sia nello specifico del combattimento quanto, e soprattutto, come qualità interiore da applicare nella vita quotidiana in generale. L'arte marziale cosi impostata si fa espressione perfetta di sé nella pratica del combattimento e preparazione adeguata e imprescindibile per stadi dell’anima ancora superiori, sperimentabili indipendentemente dalla pratica marziale. Ci perfezioniamo come uomini e lottatori: lo scopo dell'arte marziale da noi individuato è dunque rispettato.

 

Avremo modo più avanti di approfondire come lavorare al perfezionamento animico direttamente, per ora ci basterà rimanere attenti e osservare il perfezionamento giungere indirettamente, come conseguenza dello sparring. L'importante sarà però aver inquadrato questo traguardo come fondamentale, perché con la comprensione di questa nuova meta invero tutta la pratica subirà una metamorfosi. Pertanto dovrà ora essere strutturata per fare del praticante uno strumento adeguato alla manifestazione del livello interiore raggiunto. L'allenamento esteriore sarà incentrato prevalentemente sulle posizioni di equilibrio e sulla sensibilità, a discapito della sfrenata ricerca del dettaglio tecnico.

 

Piuttosto che aggiungere, il praticante dovrà imparare a togliere, a scolpire, a pulire i propri movimenti e le proprie posizioni per far sì che la cedevolezza, conquistata con il lavoro interiore, si possa manifestare con il massimo della chiarezza.

 

Nei prossimi articoli cominceremo a prendere in esame la base pratica della didattica e gli esercizi necessari a forgiare lo strumento dell'artista marziale: il suo corpo.

 

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